C’è una poesia dello scrittore spagnolo Pedro Salinas molto bella e tuttavia ancora troppo poco conosciuta, famosa per il concetto di “cercare oltre”, “guardare oltre”. Detrás, destrás. Più in là.
Ecco, i quadri di Sara Quida, sarda di nascita e spagnola per passione, trasmettono una sensazione simile al concetto che Pedro Salinas usa nella sua poesia. Le opere di Sara sono fogli spessi su cui il colore diventa materia. E viceversa. Guardando le opere e annullando il mondo circostante sembrano microgalassie avvolte su loro stesse dove colore e materia, tangibile e intangibile, si scontrano.
Varcata la soglia della “casa astratta”, come la chiama lei, ci accomodiamo in una cucina semplice eppure unica, circondati dalle opere in ogni direzione. Un ampio terrazzo da cui si riesce a vedere il mare incornicia un’atmosfera domestica e allo stesso tempo vibrante di creatività. Non tarda ad arrivare il caffè. È primo pomeriggio e, si sa, i sardi sono degli ottimi padroni di casa. Sul tavolo sono già state disposte diverse opere da mostrarci, ma non solo: c’è un libro di un certo volume di cui Sara ci spiega subito l’origine. “Hotel 128” è il racconto di un’esperienza a cui Sara ha partecipato qualche anno fa, in Francia, importantissima per la sua formazione e anche “per l’acquisizione della mia autostima”, ci confessa. Una ricca gallerista ha infatti acquistato uno stabile in disuso e chiamato diversi artisti per renderlo un’opera d’arte. “Mi ha chiamata e mi ha detto che avrei dovuto dare la resurrezione ai muri, testualmente”.
E Sara gliel’ha data davvero la resurrezione a quelle pareti. In un luogo in cui crepe e muffa riempivano ogni centimetro disponibile, gli artisti, tra cui Sara, hanno dato vita a una galleria d’arte a 360º unica nel suo genere. “Ho scelto la mia stanza all’hotel 128 perché era piena di crepe, le mie amate crepe, capisci?” Sara è infatti innamorata dell’arte di Burri, famoso per i suoi cretti monumentali, le sue opere materiche in cui si resta incagliati in pieghe e fratture ad ogni centimetro. Un artista informale, proprio come lei.
Ma cosa ispira davvero i quadri di Sara? Mentre ci spostiamo nel suo laboratorio ci racconta della sua personalissima passione “Amo indagare sui casi di crimini efferati, sono particolarmente legata al dolore, lo percepisco. È facile capire la mentalità di una persona normale, è molto più interessante ragionare su quella dei killer.” Ma non solo cronaca nera, la sua arte è infatti permeata da tante altre sue passioni, come quella per la Spagna, o per il tango argentino. In alcune sue opere è infatti interessante osservare i piccoli rimandi a questi due
ambiti: i movimenti vorticosi delle gonne delle tanghere, i colori della terra del sud della Spagna.
Nel laboratorio di Sara Quida ogni cosa ha un suo posto. Le tele, grandi e piccole, giacciono ordinatamente disposte vicine l’una all’altra. L’odore di olio di lino è paragonabile all’odore dell’incenso nelle chiese: sommerge ogni centimetro della stanza e conferisce sacralità all’atmosfera. Tra le tele e gli strumenti da lavoro, ci sono delle piccole cornici con specchio, e anche qualche oggetto del compagno di Sara, tra cui un mazzo di rose ormai secche appeso al soffitto. Sara lo sfiora con una mano, sorride, forse rievoca qualcosa che più tardi diventerà un quadro. Per quanto riguarda il futuro, Sara ci spiega: “Vorrei fare un’estemporanea a Roma, in una piazza famosa. Una cosa semplice. Mettermi lì a dipingere mentre le persone passano. Sono convinta che il contesto metropolitano mi darà delle vibrazioni. Qui, a Vasto, invece vorrei dipingere al Genova Rulli insieme ad altri artisti del territorio.”
Noi, teniamo le dita incrociate.